Sono aumentate le importazioni di frumento nel 2023 in Italia, mentre è ancora in calo il prezzo del grano sulle piazze nazionali. Secondo i dati diffusi da ANACER, l’Associazione Nazionale Cerealisti, nei primi 10 mesi del 2023 sono aumentate di 1,1 milioni di tonnellate nelle quantità (+6,2%) e di 169,4 milioni di Euro nei valori (+2,2%) le importazioni in Italia di cereali, semi oleosi e farine proteiche, rispetto allo stesso periodo 2022. L’aumento dei quantitativi importati si deve soprattutto agli arrivi dall’estero di frumento, sia grano tenero che grano duro.
Nel 2023 sono aumentate di 1,2 milioni di tonnellate le importazioni di grano duro e di 503.000 tonnellate quelle di grano tenero
“La produzione italiana di grano duro è deficitaria rispetto alle richieste dell’industria di trasformazione, per cui l’industria sarà sempre costretta a importare grano duro e grano tenero,” spiega ai microfoni di Puglia Verde Michele Caiano, imprenditore agricolo di Foggia. “Questo, però, porta a un deprezzamento del prodotto nazionale, che invece andrebbe valorizzato”.
Non si tratta di fare la guerra alle importazioni – è il ragionamento dell’imprenditore – quanto di certificare la produzione nazionale, perché il consumatore possa sempre sapere se nei prodotti che acquista c’è veramente grano 100% made in Italy. Così come andrebbero valorizzati, sostiene Caiano, quei pastifici che oggi fanno filiera, con linee dedicate al solo prodotto italiano.
La diminuzione del prezzo del grano è solo uno dei problemi che devono affrontare i produttori. A non far quadrare i conti delle imprese agricole è soprattutto l’aumento dei costi di produzione. “Gasolio, concime, sementi, prodotti fitosanitari, quasi il 20% di spese in più,” spiega Caiano. Sempre più impattante, inoltre, è la variabile climatica. “Se la produzione dell’anno scorso non è stata eccezionale – sostiene l’imprenditore – quest’anno sembra anche peggio, a causa della mancanza di acqua. A Foggia non piove da più di un mese. A distanza di due mesi dalle semine, c’è molto seme che non è nato.”
Il prodotto nazionale sconta, poi, “una riduzione delle superfici, anche per via della Politica Agricola Comune, con l’obbligo delle rotazioni e del 4% di superficie a riposo, e con una deroga arrivata ormai troppo tardi. E soprattutto nel Sud Italia – continua Caiano – si registra dal 20 al 25% in meno di superficie coltivata a grano duro. Questo, insieme all’aumento dei costi, al minor appeal dei prezzi di mercato e al fattore climatico, non farebbe presagire buone prospettive neanche per il prossimo raccolto, almeno in termini di quantità.”