27 Dicembre 2024

Superfici coltivabili, il futuro passa dalla meccanizzazione agricola

Puntare sull’innovazione tecnologica per soddisfare il fabbisogno alimentare dei prossimi anni come emerso in un incontro organizzato a Ortigia da FederUnacoma

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Recuperare i terreni soggetti a degrado, sviluppare tecnologie agricole all’avanguardia e applicare metodi colturali innovativi: sono solo alcune delle possibili risposte alla crescente domanda di derrate alimentari che – secondo le stime – nel 2050 dovrebbe riguardare circa 10 miliardi di persone nel mondo. Un fabbisogno che per essere soddisfatto dovrà registrare l’aumento del 37% di superficie agricola utilizzata a livello globale nei prossimi 30 anni, ovvero – secondo le stime del World Resources Institute – dovranno essere messi a produzione altri 590 milioni di ettari. Una sfida estremamente impegnativa al centro dell’incontro “Territori sconfinati, piccoli poderi e orti urbani: tutte le tecnologie per ‘macro’ e ‘micro’ agricolture”, organizzato da FederUnacoma, la federazione dei costruttori delle macchine per l’agricoltura, a Ortigia nell’ambito di “DiviNazione Expo 2024”.

© Foto: Puglia Verde

Il 33% della superficie coltivata mondiale – è stato spiegato all’apertura dei lavori – è in condizioni di degrado moderato (8%) o elevato (25%) a causa della salinizzazione dei suoli, della perdita di sostanza organica, della desertificazione

Per fermare e invertire questo processo non ci si può affidare unicamente all’iniziativa degli imprenditori agricoli, ma è essenziale che i decisori pubblici sviluppino con urgenza adeguate politiche di sostegno. «Il problema interessa anche l’Italia. Il recupero delle terre degradate – ha detto il presidente CIA dell’Emilia Romagna, Stefano Franciaè fondamentale non soltanto a fini agricoli, ma anche per garantire la sicurezza idrogeologica dei nostri territori e per incentivare il turismo nelle aree rurali, che rappresenta una ulteriore, importante fonte di reddito per gli agricoltori». D’altro canto, è proprio la remuneratività delle attività agricola, condizionata da un gran numero di variabili, che finisce per disincentivare gli investimenti, anche nelle aree marginali. «Per questo è necessario prevedere strumenti di incentivazione pubblica che – ha aggiunto Francia – sostengano l’agricoltura nelle aree a rischio, territori nei quali sono richiesti macchinari specifici, altamente specializzati».

© Foto: Puglia Verde

Dalle attrezzature per la minima lavorazione che preservano la sostanza organica dei terreni, alle mietitrebbiatrici autolivellanti capaci di lavorare su pendenze molto pronunciate, sino alle flotte di droni in grado di operare su terrazzamenti altrimenti inaccessibili, le industrie agromeccaniche italiane vantano una gamma di tecnologie estremamente diversificata, che si adatta anche alle esigenze di un’agricoltura “estrema”. «Progettare e realizzare mezzi meccanici che possano operare in condizioni così impegnative – ha spiegato il Responsabile Ufficio Tecnico FederUnacoma, Davide Gnesiniè una grande sfida costruttiva che le nostre industrie stanno vincendo grazie alla loro capacità di innovare e sviluppare soluzioni all’avanguardia, personalizzandole secondo le specifiche esigenze dei territori». «Droni, robot, applicazioni digitali evolute, ma non solo. La nuova frontiera – ha proseguito Gnesiniè quella rappresentata dalla meccanizzazione per le colture idroponiche ed aeroponiche».

Proprio di questo ha parlato Emilia Arrabito, Direttore SVI.MED, presentando i risultati di un progetto relativo alla coltivazione di pomodori che ha interessato la Sicilia e la Tunisia. Sia l’idroponica che l’aeroponica sono coltivazioni fuori suolo nell’ambiente protetto di una serra – ha spiegato Emilia Arrabito nel corso del suo intervento – ma mentre nel primo caso la pianta riceve le sostanze nutritive per irrigazione, nel secondo le riceve per nebulizzazione. «Entrambi i metodi possono essere considerati come una possibile soluzione al problema della riduzione della fertilità del suolo e alla necessità di ottimizzare l’uso delle risorse, poiché – ha concluso il direttore dello Svimed – oltre a ridurre il consumo di terreno, queste particolari tipologie di coltivazione ci hanno permesso anche di tagliare del 35% i consumi di acqua nonché l’impiego di fertilizzanti e di trattamenti fitosanitari».

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